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La Gazzetta Liceale

Il 2024 è questo?

Alfisi Francesco

“L’aggressore è sempre amante della pace: preferirebbe conquistare il tuo paese senza alcuna opposizione”, questa frase pronunciata dal generale prussiano Karl von Clausewitz, oggigiorno risulta totalmente anacronistica, non per essere stata pronunciata circa 250 anni fa, ma perché ormai la guerra si sviluppa in maniera completamente diversa dal passato, dal momento che si preferiscono inutili stragi di civili, piuttosto che lo scontro frontale tra eserciti nazionali. La prima guerra mondiale, infatti, ha segnato un punto di svolta per le azioni belliche, in quanto per la prima volta nella storia le vittime civili (circa 10 milioni) hanno superato le morti militari (circa 8,5 milioni). Da qui i dati sono peggiorati drasticamente, nel secondo conflitto mondiale il conteggio dei civili morti si attesta tra i 40 e i 50 milioni. A oggi le stime variano in base alle ostilità, ma la media si aggira tra l’80% e il 90%. Secondo l’International Crisis Group, negli ultimi anni si è raggiunto un livello preoccupante di violenze armate di diversa entità: conflitti internazionali, guerre civili, terrorismo, golpe e lotta alle mafie, per un totale di circa 70 contese (che potete trovare in giro sul web) in cui si può ritrovare una spiacevole costante: i soprusi sulla popolazione civile che spesso viene considerata un personaggio secondario. Difatti, l'uccisione degli abitanti di una zona di conflitto viene considerata, dagli artefici di queste azioni, come una “sfortunata conseguenza” (così Israele si è difeso davanti al tribunale internazionale dell’Aja dopo l'accusa di genocidio a danno dai palestinesi imputatagli da parte del Sudafrica) che non merita menzione. Oltre che alla morte, però, i civili possono incappare in altri pericoli: stupro, reclutamento forzato, rapimenti, danni psicologici e contrazione di malattie dovute alle scarse condizioni igieniche. Inoltre le spese belliche lasciano un paese con un pesante debito pubblico, con conseguenze economiche a lungo termine, portando i cittadini a soffrire la fame. In Yemen, per esempio, a causa della guerra civile, che dura ormai da 6 anni, il World Food Programme stima che circa 19 milioni di persone siano a rischio fame o malnutrizione, mentre a Gaza, seguendo i dati della stessa agenzia, l’intera popolazione (2 milioni circa) rischia di morire di inedia. Gli effetti della guerra, sul lato monetario, si riversano, però, anche sull'economia mondiale. Infatti, gli ultimi attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso impediscono alle navi cargo di poter attraversare lo stretto di Suez e per questo sono costrette a circumnavigare l'Africa facendo aumentare di settimane il tempo di consegna dei prodotti e, di conseguenza, il prezzo. Considerando che le navi mercantili trasportano circa il 90% delle merci scambiate nel mondo, il danno è molto pesante. Per fortuna alcuni organizzazioni transnazionali come Save the Children o l’Unicef tramite i loro interventi riescono a colmare, almeno in parte, il vuoto lasciato dalla diplomazia internazionale che sebbene rappresenti un importante strumento per cercare di prevenire i conflitti e promuovere la cooperazione tra le nazioni, non sempre risulta in grado di risolvere i problemi mondiali, lasciando quegli attori secondari in balia di un copione che non hanno scritto.

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